martedì 16 febbraio 2016

critica acritica di Sanremo ed il pianista guerriero

In questi giorni, senza dubbio, l’hot-topic che intasa radio, tv, e web è uno ed uno solo: Sanremo. 
Una settimana fa si parlava delle anticipazioni, dei pronostici, dei piccoli gossip su chi, come e quando sarebbe stato al festival. Dopo c’è stato il “durante”, tra polemiche su un Gabriel Garko bello quanto incapace e una Virginia Raffaele brillante, nastrini arcobaleno ed ospiti innegabilmente costosi; ed ora, quando tutto sembra finito si continua a parlarne tra valutazioni, pagelle ed interviste a vincitori premiati e vincitori “morali”. Mi sono sempre chiesta come un festival, a cui partecipano cantanti bravi ma non di certo le perle affermate della musica italiana, possa riscuotere così tanto successo, tanto più che delle canzoni presentate solo due o tre sarebbero ascoltabili senza iniettare nell’ascoltatore una terribile dose di malinconia. Parere personale, ovviamente. Inutile dire che per queste ragioni, e sicuramente anche perché la televisione non rientra nei miei hobby preferiti, non ho mai guardato Sanremo. Quest’anno però, complice una serie di sfortunate malattie di stagione arrivate tutte insieme quali influenza, raffreddore, un ascesso e febbre alta, mi sono ritrovata a contribuire ai grandi picchi di ascolti del festival, bloccata sul divano con una bolla dell’acqua calda e senza troppe alternative valide sugli altri canali. Quasi per una congiuntura astrale, in collaborazione con l’universo e con il patrocinio del karma negativo che chissà come ho attirato su di me; ho seguito ogni puntata di Sanremo, arrivando in parte a mettere in discussione i miei pregiudizi.
Di certo il festival è piacevole da seguire, se non per le canzoni lo è per i presentatori, le gag, gli ospiti e le interviste; ma in alcuni momenti è arrivato ad essere addirittura commovente. Inutile dire che, tra gli svariati programmi della televisione italiana, che di certo non brillano per intelligenza e profondità di argomenti, il Festival di quest’anno sia stato per certi versi non solo intelligente, ma addirittura un momento culturale e di critica, seppur velata, dei grandi argomenti che si stanno discutendo. Partendo dai nastrini arcobaleno, arrivando agli interventi semi-rivoluzionari di Rocco Hunt, fino alla commovente esibizione di Ezio Bosso, mi sono ritrovata piacevolmente sorpresa nel constatare che forse la televisione non è messa poi così male, che forse rimane un minimo del ruolo che l’arte dovrebbe avere, in ogni sua forma: quello di criticare una società malata e corrotta, di stimolare riflessioni, e portare i problemi all’attenzione delle masse, seppur con una veste diversa.
Ma andiamo con ordine. A prescindere dalle opinioni in merito, penso che l’iniziativa dei nastrini arcobaleno sia stata una grande prova che il popolo italiano ed i suoi artisti non sono così stupidi e dormienti come spesso ci viene fatto credere. Portare un tema così delicato ad una vetrina così vasta e con un pubblico così variegato come il festival, penso che sia lodevole e di grande impatto. Ma soprattutto trattare questo tema, per la prima volta, in modo silenzioso, senza berci ed insulti, e nel totale rispetto dell’opinione altrui, trovo che sia un gesto davvero intelligente e degno di nota. Quando si parla di gay, famiglie, matrimonio ed adozione, solitamente il discorso ricade nella “malattia dell’omosessualità” e nella “normalità di una famiglia composta da due elementi di sesso diverso”; un tema così importante viene banalizzato senza scrupolo e ridotto a discorsi senza senso, senza capo né coda, che non possono, ma attenzione, soprattutto non vogliono portare a nulla di costruttivo. Invece a Sanremo non ha parlato nessuno, non ha insultato nessuno, non ha motivato nessuno, non ha convinto nessuno; ci si è semplicemente limitati a mettere in mostra un’opinione senza nemmeno nominarla, ci si è limitati a far vedere da che parte si sta e a tacere, lasciando le considerazioni agli spettatori. O meglio, a chi stava guardando quel programma con il cervello acceso e con la voglia di assimilare informazioni e rifletterci su perché, va sempre ricordato, molto dipende da con che occhi si guarda qualcosa e da con che spirito lo si vuole giudicare. Ed è proprio in questo verbo che sta la genialità di questa iniziativa: giudicare. Nessuno, con i nastrini o senza, ha giudicato.


E poi il pianista. Ezio Bosso. Quel signore in carrozzella che continuava a ridere, che non avendo visto la presentazione inizialmente non capivo cosa ci facesse lì e chi fosse, quella che pensavo fosse un’imitazione di pessimo gusto contro la quale ero già pronta a scagliarmi, tanto erano esagerati i gesti mentre parlava. E invece no, cinque minuti dopo mi era chiaro che lui era vero, che quei gesti enormi erano solo il segno di un'energia travolgente e io stavo piangendo. Così visibilmente malato, eppure così bello. L’immagine dei sogni che salvano, della forza che eleva, della bellezza d’animo, di un cuore enorme, dell’arte che si tramuta in vita. Tutta quell’energia che quasi mi faceva sentire una nullità a confronto; la luce negli occhi, quella della fenice che rinasce dalle ceneri, quella di chi combatte costantemente, quella di chi non si può arrendere e nonostante tutte le cose brutte passate sorride e ti mette una gran voglia di vivere. Questa è la vera forza: quella di chi nonostante le battaglie perse non perde mai la positività, non smette mai di sorridere alla vita, non si rinchiude in barriere e non alza muri, non diventa scontroso, non maledice la vita ma anzi la benedice e rimane lì; e ride, abbagliandoti quasi a tal punto da nascondere le cicatrici. Così è la sua musica: speranzosa, luminosa, ammaliante, un balsamo contro il male. Lui, è il vero vincitore di Sanremo, della vita. Lui è un eroe. E finalmente su un palco così importante e così seguito, viene mostrato qualcuno di davvero grande, qualcuno puro e da cui davvero dovremmo prendere esempio.  Qualcuno che è un drago, nonostante la sua fragilità, un guerriero, ma soprattutto qualcuno che ha il grande potere magico di farti venir voglia di essere migliore. 


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