martedì 26 gennaio 2016

Circhi, maschere e Libertà

Mostra ciò che sei, sii ciò che mostri
Ho iniziato a riflettere su questo post pochi giorni fa, dopo un avvenimento ordinario che, come
spesso succede, ha aperto le porte a pensieri straordinari. Un semplice messaggio whatsapp, visto di mattina troppo presto ed ancora assopito da una nebbia di sonnolenza, ignorato con la solita frase mentale “rispondo più tardi”; che poche ore dopo si è ripresentato come un colpo di genio destandomi da un noioso viaggio in treno passato a scrutare un mondo immaginario al di là del finestrino. Campi, casupole, boschi, e ancora campi; giallo, brina, l’alba, i monti sempre più grossi e… oddio, mi stavo quasi dimenticando di rispondere! Cercai il cellulare con mosse frenetiche, ribaltando come al mio solito l’intero contenuto della borsa, aprii whatsapp come se fosse una questione di vita o di morte, ed eccolo lì: l’ennesimo invito ad un ballo in maschera. Il secondo, nel giro di pochi mesi, come se l’universo volesse vedermi ancora una volta a volto coperto aggirarmi tra conosciuti sconosciuti, o meglio, sconosciuti conosciuti.
Iniziai a riflettere: mi sono sempre piaciuti i balli in maschera, e non tanto perché le maschere coprono ogni difetto e risaltano tremendamente gli occhi, e nemmeno per il senso di sicurezza che si prova ad indossare qualcosa sul viso; ma perché per una sera ci si può sentire delle moderne Cenerentole alla ricerca del principe azzurro, o come nel mio caso, dell’angolo bar. È paradossale, perché si pensa che lasciando trasparire solo gli occhi e coprendo i difetti con pizzo e strass, si possa far finta per poche ore di essere persone diverse. Forse è il motivo per cui mi sono sempre piaciuti Halloween e carnevale: una sera in cui dimenticare sé stessi, il naso troppo grosso, il brufolo che sta spuntando e i capelli troppo fini, le occhiaie date dalle notti insonni e i segni dello stress; e diventare grazie a un tocco di pennello una creatura diversa, cattiva o meno, che può fare cose incredibili e alla quale non importa di come reagiranno alla sua vista le altre creature nella stanza. Ma sotto la maschera, possiamo davvero essere persone diverse? Nascondiamo davvero i difetti? O piuttosto li accentuiamo condendoli con la libertà di sentirci noi stessi, per una volta privi di paure e di ansie da reazione? Le maschere lasciano scoperti solo gli occhi, che accentrino tutta l’attenzione sui veri noi stessi, sulla nostra anima? Che finalmente, ci mostrino davvero al mondo?

Forse il vero paradosso, quello che mai nessuno è riuscito a risolvere, non è quello di Achille e la tartaruga che, per inciso, è facilmente risolvibile con la tartaruga a conoscenza del segreto del tallone dell’eroe, con una pistola carica e capace di mirare il punto giusto e arrivare tranquillamente al traguardo dopo essersi fermata a bere un caffè e a fare un selfie con l’eroe zoppicante. Il vero paradosso irrisolvibile è il seguente: perché passiamo le nostre giornate a creare maschere e muraglie invisibili e riusciamo ad essere noi stessi solo con addosso una maschera concreta e visibile? Seguendo la dimostrazione matematica dovremmo prima di tutto dimostrare che l’asserzione sia vera, quindi, partiamo da semplici esempi, che non considereremo assoluti. Continuamente creiamo e cerchiamo di proiettare un’immagine perfetta di noi stessi: ci vestiamo in modo da valorizzare i punti forti e coprire, o per lo meno smussare, i punti deboli, parliamo di argomenti che conosciamo alla perfezione e cerchiamo di evitare quelli spinosi, ci comportiamo in modo politicamente corretto e cerchiamo in tutto e per tutto di soddisfare le aspettative dell’essere pensante che ci sta di fronte; e la cosa peggiore è che il 90% della popolazione mondiale nemmeno si accorge di questo continuo processo di restyling, che rimane per lo più inconscio e normale. Siamo spinti, continuamente e incessantemente, a ricercare un’idea di perfezione, a modellare noi stessi in base ad aspettative e “must”, a nascondere patologicamente ogni linea che ci contraddistingue e potrebbe farci sembrare un abominevole mostro al di là della massa. Lo facciamo a livello estetico, lavorativo, relazionale; non mostriamo i nostri sentimenti per paura di un rifiuto, del dolore, di una mancata accettazione. Creiamo muri con l’illusione di proteggerci, calibriamo le parole, i gesti, abbiniamo perfettamente ogni frase ed ogni reazione, sopprimendo pensieri troppo “strani”, sentimenti “affrettati”, opinioni “alternative”, comportamenti “inadeguati”. E così, senza nemmeno accorgercene viviamo con un’impermeabile maschera sul volto, tra mura indistinte e mutevoli, corazze super equipaggiate, e occhiali da sole di colori diversi, che ognuno sceglie e modella in base alle proprie esigenze, ma che nessuno si rifiuta di indossare. Un carnevale continuo, incessante; un corteo di regine, giullari, bamboline che si destreggiano tra uffici, social network e magnifici resort, un circo eterno che nonostante le diverse figure ne esclude sempre una: l’uomo, con le sue paure e i suoi errori. Forse aveva ragione la Fallaci, quando scriveva una disarmante verità in troppe poche parole per essere presa sul serio: essere liberi è un DOVERE, prima che un diritto. È più difficile cambiare corrente e spogliarsi, lasciando che il mondo osservi e critichi le nostre cicatrici, è più difficile mostrare un’anima che un cappotto Dolce e Gabbana, è più difficile buttarsi nel vuoto che godersi il panorama dalla cima di un grattacielo; è più difficile commettere errori, è più difficile accettare che possiamo, dobbiamo, commettere errori, è più difficile amarli che criticarli. La storia ha dimostrato che tutti i muri prima o poi cadono, tranne uno: quello che ci separa da una vita vera, fatta di rischi e dolori ma che, per quanto più insicura e terrificante, ci separa da una vita altrettanto più bella e più intensa. Siamo davvero liberi? No, non lo siamo, ma possiamo decidere di esserlo.  

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